Luigi Battaglini, "Innamorato della Vita"

“Questo giorno”, da lui invocato nella preghiera, è venuto nel 1949 con il pellegrinaggio a Lourdes. Qui egli era venuto col desiderio di chiedere alla Madonna la grazia della guarigione. Ma sentiamo dalle sue stesse parole il racconto di questa esperienza ineffabile dinanzi alla Grotta di Massabielle: “Non so descrivere quello che l’anima percepì appena le fui dinanzi. So soltanto che rimasi in contemplazione della Statua, che riempie l’ogiva in alto a destra, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, dai quali sgorgavano lacrime più dolci d’un sorriso. Non so nemmeno se ero felice o no. Ma so che nessuna ricchezza terrena, nessun affetto umano avrebbero potuto darmi la dolcezza di quella contemplazione… Quanto tempo rimasi avvinto in quel rapimento? Chissà!… Mi riscossi e m’avvidi che un barelliere, con una fascia bicolore al braccio, stava spostando la mia carrozzina per dar posto ad altre. Dovevo avere alcunché di smarrito nello sguardo, se il giovane mi sorrise e mi battè sulla spalla, mormorando : ‘Courage!’”.

A questo punto si accorge di essere circondato da “file e file di carrozzine… col loro carico dolorante”, mentre più avanti erano le “barelle con i malati più gravi”. “Giù, in fondo, seduti su panche di legno, altri ammalati: ciechi, zoppi, muti. Una gerarchia da dare l’impressione di un convegno di tutti i dolori del mondo al cospetto del Signore”.

Ormai è avvenuto il miracolo, non della guarigione fisica, ma della guarigione dello spirito. Sentite cosa dice: “Mi sentii pieno di tenerezza e m’accorsi che quei volti sconosciuti erano diventati d’un tratto volti di fratelli, amanti del mio stesso amore, sofferenti del mio stesso dolore. E compresi che non potevo pregare per la mia guarigione, io che ero soltanto un atomo del dolore del mondo”. E subito dopo fa questa preghiera: “Madonnina mia, non guarire me: io sto bene così. A casa ho tante cose che allietano la mia giornata, che m’occupano la via e poi non soffro nemmeno più. Guarisci costoro che mi sono intorno. Dà la fede, dà l’amore al mondo; dà la luce a chi vive nel buio della solitudine interiore. Di me fa la lampada che brucia per diffondere chiarore, l’incenso che si consuma per spandere profumo”.

Nel pomeriggio, dopo un altro momento di intensa preghiera alla Grotta, viene trasportato sull’ “Esplanade”. Qui, al termine della processione eucaristica, riceve la benedizione con il SS. Sacramento. Ed è questo un altro momento forte del suo primo pellegrinaggio a Lourdes: egli sente questa benedizione come una promessa di Gesù che gli dice: “Io veglierò su di te; Io che ho vinto il mondo!”

La terza sua grande esperienza di Lourdes è stata quella del bagno nelle piscine. Qui egli ha rivissuto il suo battesimo: in lui era morto un’altra volta l’uomo vecchio e rinasceva l’uomo nuovo (cfr. ib., pp. 141-146).

A Lourdes Battaglini ha fatto l’esperienza profonda della tenerezza dell’amore materno di Maria, che resterà come un memoriale in tutta la sua vita: fino all’ultimo giorno della vita sarà sempre un grande innamorato di Maria. A Lei ha sempre affidato se stesso e tutte le sue attività. Ormai egli accetta la sua sofferenza; ne ha capito il senso e ne ha intravisto il valore salvifico. Si sentiva appagato e riconciliato con la sua storia. Quell’equilibrio e quella gioia di vivere che si erano frantumati dentro di lui a causa della malattia non accettata, si erano miracolosamente ricomposti. E da questo risanamento scaturiva un’energia interiore, che lo rendeva capace di affrontare la vita con uno spirito nuovo.

Sentite cosa dice sul problema del dolore. “Il dolore! Il problema che da secoli ha sconvolto menti grandi e piccine di scienziati, di poeti e di uomini semplici, che ha messo in bocca a milioni di persone la disperata domanda: ‘Perché?’, qui si svelava d’un tratto nella sua vera essenza umana e trascendentale… Da dieci anni vivevo nel dolore… Avevo sofferto l’inenarrabile; avevo toccato i confini della follia o, peggio, dell’idiozia, mi ero anch’io, creatura di carne, chiesto spasmodicamente: ‘ma perché?’ Ora lo toccavo con mano questo perché…., potevo notare come la Divina Provvidenza mi avesse guidato, attraverso il crogiolo della sofferenza, a questa pace. Se non avessi sofferto, se le mie guance non si fossero bagnate spesso di lacrime roventi, non avrei potuto godere questa serenità, che mi colmava l’anima…”(cfr. ib., p. 148).

E’ vero quello che dice Manzoni: “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per dare loro una gioia più grande”.

(Apro una parentesi). Accanto a questa luce sul problema della sofferenza egli riceverà, poi, tanta luce ancora su altri aspetti della sofferenza stessa. Egli diventerà il cantore del mistero “delle mistiche gioie della croce”, perché “accanto alle tribolazioni del Calvario ci sono le gioie del Tabor”. Rivolto a chi soffre egli canterà ancora: “La croce, fratello mio, è il più gran dono che Iddio abbia potuto farci. E’ un dono d’amore, segno di predilezione”, perché con la sofferenza l’uomo è reso partecipe del mistero della Passione di Cristo. Egli viveva e invitava a vivere questo messaggio: “Soffrire e offrire” e poi: “Soffrire e gioire”. Egli diventerà instancabile nel dare questo messaggio di speranza agli altri sofferenti. Le numerose lettere agli ammalati che egli ha scritto su “Missione”, il periodico dell’UAL, ne sono una testimonianza viva.

Egli sarà anche il cantore del sorriso materno di Maria, “il giullare di Lourdes, l’innamorato della Madonna”. Accanto al dono della croce - egli canta ancora - “il Signore misericordioso ci ha offerto un altro dono: il sorriso della sua Mamma; quel sorriso che faceva dire alla piccola Bernadette di voler morire per goderlo in eterno… Ci tiene Ella tra le Sue braccia amorose, ci carezza, ci sorride, ci sussurra parole d’amore… Lasciamoci cullare da quelle Braccia, su quel Cuore, che non cambia mai, godiamo di quell’immenso amore senza chiedere nulla. Per non perdere nulla (cfr. Il canto dell’anima – Missione n. 2/1997, pp. 19-22).

Alla fine, durante il viaggio di ritorno, tirando le somme sull’esperienza del pellegrinaggio, così si esprime: “Avevo goduto come mai avrei creduto possibile, avevo amato immensamente, ora sentivo che qualcosa era cambiato in me, che ero giunto alla meta della mia esistenza… Ero pieno di felicità contenta, sazio direi… Non desideravo che vivere con nel cuore il ricordo sereno e tenace delle magnifiche giornate appena trascorse, affinando in esse le mie sensazioni ed i miei pensieri per cercare poi di attuarli nel mio lavoro.

Sì, perché sapevo che la dolcezza che m’inondava l’anima non dovevo tenerla per me egoisticamente, ma donarla agli altri, perché divenisse anche per gli alti fonte di vita.

L’insegnamento, lo scrivere dovevano avere una voce nuova, un’anima diversa, perché potessi davvero – come avevo sognato nella mia giovinezza – asciugare con la mia piccola voce d’amore una goccia dell’olio che corrode il mondo. E la mia stessa malattia doveva diventare la trasposizione materiale di un’esigenza spirituale da far comprendere ed amare” (cfr. Innamorato della vita –Ned – Foggia, 1996, pag 153).

Questa esperienza, ora descritta, ci spiega in modo semplice e chiaro il significato della salvezza, operata in lui dal Signore Gesù , tramite la mediazione materna di Maria.

Essa nella Chiesa è chiamata anche esperienza della Pasqua. Come Gesù è passato dalla morte alla vita (questa è la Pasqua di Gesù!), così egli ha fatto un passaggio: dalla sua situazione di morte interiore è passato ad una pace profonda. Non si tratta di un’esperienza definitiva, che elimina i problemi, le fragilità e gli altri limiti della nostra vita, ma è come un assaggio, un anticipo della Pasqua eterna, quando non ci sarà più né lutto, né pianto, né morte, né peccato. Fin quando siamo sulla terra le esperienze profonde di Dio non ci esimono, perciò, dalla lotta contro il peccato e contro l’uomo vecchio che affiora sempre dentro di noi, però costituiscono un memoriale, che infonde una luce ed una forza, capaci di farci affrontare qualunque situazione.

Questo avviene – ci spiega la Chiesa - attraverso il dono dello Spirito Santo. Cito due testi della Lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato” (5, 5); “Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (8, 16). In parole più semplici possiamo dire che Dio, attraverso il dono dello Spirito, fa irruzione con il suo amore nel cuore dell’uomo, e lo Spirito Santo nella profondità del nostro essere ci assicura che Dio ci ama, anzi che Dio è nostro Padre. Questa esperienza risana tutte le nostre ferite e le nostre frustrazioni.

Le nostre crisi, difatti, sul piano esistenziale avvengono perché dentro di noi si fa presente qualcosa che ci fa come sprofondare: ci sembra che siamo sfortunati, che la nostra vita è perduta per sempre, che non è per niente coperta dall’amore di Dio e, per questo, ci sembra di essere condannati ad un destino crudele. Da questa situazione di “morte ontica” spesso nasce la ribellione, che si manifesta in diverse forme, oppure lo scoraggiamento, la depressione, ecc..

Dinanzi a queste situazioni di “morte” la Chiesa annuncia che c’è un Salvatore, che è Cristo Signore. Sono queste, difatti, le parole rivolte dall’Angelo ai pastori nella notte di Natale : “Vi annuncio una grande gioia…: oggi vi è nato un salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 10).