Dopo questa esperienza di cielo ritorna ad Orta Nova e riprende la sua vita ordinaria. Ma nel 1952 sente di nuovo un forte impulso di ritornare a Lourdes.
Comincia qui una grande lotta interiore, perché la sua ragione riteneva inutile questo secondo viaggio. La lotta è così dura che si ripercuote sulla sua salute: la pressione arteriosa sale a 200; uno spasmo gli stringeva l’esofago con sensazioni di soffocamento, tanto che è costretto ad una alimentazione liquida; altri dolori forti ora alla gamba, ora a un braccio, ora ai lombi. Diventa irascibile ed impaziente e si rinchiude in se stesso...
Alla fine si arrende e decide di chiedere al padre il permesso per andare di nuovo a Lourdes. Il suo stupore è grande, quando constata che il padre acconsente a tutte le sue richieste. Ancora più grande è lo stupore quando vede il miglioramento repentino delle sue condizioni di salute. Non solo la pressione scende ai valori normali, ma anche le sue piaghe ai piedi si rimarginano miracolosamente... Il padre, medico, gli confessa che clinicamente il suo caso è un enigma.
Fu proprio in questo pellegrinaggio, fatto nell’agosto del 1952, che egli riceve dalla Vergine di Lourdes quell’ispirazione, che segnerà una svolta ancora più grande nella sua vita: “Fa’ per i malati poveri!”.
Sentiamo il suo racconto: “Alla Grotta rivissi le sensazioni di due anni prima, né il ritorno fece sfiorire il fascino del primo incontro. Stavolta anzi il colloquio con la Bianca Signora fu più intimo, confidenziale direi. La pioggia ci costringeva a tenere il soffietto della carrozzina alzato e quella copertura ci isolava, favorendo un maggior raccoglimento. Eppure… nemmeno stavolta saprei ripetere ciò che dissi alla bella Madonnina della Grotta. Non si possono riferire le espressioni estatiche di un amante, non si può descrivere ed analizzare la felicità. So che trascorsi vicino a Lei due giorni di Paradiso, forse migliori e più semplici della prima volta, poiché ora era placato il turbine delle emozioni. Due giorni, perché poi avvenne qualcosa , che mi sconvolse l’anima e mi tolse la pace”(cfr. ib., p.171).
Il terzo giorno, difatti, - era il 17 agosto 1952 - dopo aver recitato il S. Rosario dinanzi alla Grotta, sentendosi “placido come un bimbo nelle braccia della mamma” si accorse “che un filo di pensiero andava facendosi strada nella mente: ‘Quanti malati e di quali malattie! E quanti ancora verrebbero, se ne avessero i mezzi!’ Fu in quel momento che, quasi per folgorazione, la Voce risuonò netta al mio orecchio: “Fa’ per i malati poveri!”. Mi scossi e mi guardai intorno stupito, come destato da un sonno profondo. Niente era cambiato, nessuno aveva parlato. Dunque quelle parole erano risuonate in me e non intorno a me. Ed in quel momento la stessa Voce ripetè secca e precisa , ma teneramente dolce: “Fa’ per i malati poveri!”.
Fui atterrito. Che mi succedeva? E che volevano dirmi quelle parole chiare ed arcane insieme? Potevo io nelle mie condizioni, bisognoso io stesso di aiuto, fare per altri ammalati? E poi ‘fare’ che cosa?”( cfr. ib., p. 172).
Comincia per lui un’altra lotta, fatta di dubbi e di incertezze. Il viaggio di ritorno è segnato da questo tormento interiore. Nel treno incontra una “sorella”, che lavorava presso l’Amministrazione Provinciale di Napoli , di nome Maria Follieri, alla quale racconta tutto quello che ha sentito a Lourdes. (Questa dama diventerà poi sua attiva collaboratrice nella zona di Napoli).
Arrivato ad Orta Nova confida tutto al suo confessore, Don Gerardo Avella, Rettore del Santuario di Maria SS. d’Altomare, il quale lo rasserena, invitandolo ad “ubbidire” a questa Voce, perché “ammesso che sia stata un’illusione, prodigarsi per alleviare le sofferenze del prossimo, è cosa sommamente commendevole e veramente cristiana”. Don Gerardo, poi, rispondendo a tutte le sue domande, gli dà queste indicazioni concrete:
Siccome l’ispirazione è venuta a Lourdes “fare in questo caso significa… aiutare i malati poveri a raggiungere Lourdes”;
per realizzare questo programma è necessario raccogliere “adesioni di parenti ed amici”, ovviamente servendosi di un comitato, che amministri i fondi raccolti e scelga i malati da portare a Lourdes.
Sebbene questo colloquio non abbia dissipato tutti i suoi dubbi, Battaglini si mette subito al lavoro: parla ai suoi amici, che acconsentono pienamente alla sua iniziativa. L’11 Settembre 1952, insieme ad 11 amici , nella sua casa paterna, in Orta Nova, fa l’atto costitutivo dell’Unione Amici di Lourdes. Il giorno dopo, accompagnato da uno dei firmatari di detto atto, si rivolge al Notaio Vincenzo Buonasorte “per chiedere la sua assistenza nella compilazione dell’abbozzo di statuto”. “Incominciate la raccolta delle adesioni – risponde il Notaio - e quando avrete almeno trecentomila lire in mano, tornate qui e ne riparleremo”.
Passarono quindici giorni ed egli tornò dal Notaio con la somma di trecentoventimila lire. Questi - racconta Battaglini – “ rimase a bocca aperta. Conosceva molto bene il paese e perciò sapeva che raccogliere una tale somma in un lasso di tempo così esiguo era cosa veramente rimarchevole… Perciò non fiatò e si mise all’opera”. (cfr. ib., pag. 177).
Nonostante l’esito positivo dell’atto costitutivo della nuova Associazione, Battaglini non è ancora sicuro; sente dentro di sé “uno spiritello malvagio”, che lo dissuadeva a proseguire in questa opera intrapresa. E’ per questo che nel segreto del suo cuore, senza comunicarlo a nessuno, pensa di andare a chiedere consiglio a P. Pio.
La Provvidenza ha disposto che in quei giorni venisse da Trieste una sua zia, sorella del padre, che un giorno le disse: “Senti, Gino, io e Tullio (il marito) andiamo domani a S. Giovanni Rotondo a visitare P. Pio: vuoi venire anche tu?”. Potete immaginare la sorpresa e la risposta di Gino, che all’alba del giorno dopo – era il 29 settembre 1952 -, accompagnato dagli zii e da due cugini, si trova a S. Giovanni Rotondo, dinanzi alla Chiesa dei Cappuccini. La folla è tanta che non è possibile entrare in chiesa. Tuttavia riuscirà a confessarsi con il santo frate, che dissipò tutti i suoi dubbi con la celebre frase, che è stata una profezia sulla realtà del volontariato all’interno dell’UAL: “Fa’ naturalmente servendoti dei tuoi amici”.
“Da quel momento la mia vita – racconta Battaglini – s’identificò con quella dell’Unione Amici di Lourdes. Questa creatura, imposta più che voluta, divenne in breve carne della mia carne, sangue del mio sangue, ad essa ho dedicato – e dedico – ogni pensiero, ogni atto, ogni momento della mia giornata. Mi è stata madre, sposa, sorella, tutto. Per essa ho goduto gioie inenarrabili e sofferto pene indicibili; ho lasciato le mie lezioni e rinunziato ai miei sogni letterari; ho perfino abbandonato il mio paese natìo e gli affetti più cari per portarmi là dove la sua vita lo richiedeva” (cfr. ib., p.183).
Cominciano i primi passi di questa associazione, che avrà poi un grande sviluppo. Quello che sorprende è il fatto che Battaglini non perde tempo, ma subito agisce. Difatti nel 1953, aggregato all’UNITALSI, porta a Lourdes 10 ammalati poveri, accompagnati da lui stesso, da quattro barellieri e da una dama. Ogni anno questo numero di malati poveri e di personale cresce sempre di più, fino a quando nel 1965 egli riesce ad organizzare il primo treno Azzurro, completamente autonomo.
Non tutto, però, è andato sempre liscio. Egli ha avuto tante gioie, ma ha dovuto superare anche molte difficoltà. Tra queste, il distacco del gruppo di Napoli, che gli ha procurato tanta sofferenza.
Per avere un’idea di quello che è stato il primo decennio della vita dell’UAL, ascoltiamo un brano della sua relazione, tenuta nel Consiglio direttivo del 13-1-1963, in cui fa un bilancio del cammino percorso dall’UAL: “Un decennale di lotte, di speranze, di attese, di delusioni, di dolori anche. E non poteva essere altrimenti, perché le opere di carità, che vanno al cuore dell’uomo e cercano di elevarlo a Dio, sono sempre avversate. Abbiamo accettato ogni prova con fede immensa nella Madonnina di Lourdes, e col suo aiuto abbiamo superato la prova, pur lasciando tracce di sangue sul cammino percorso, e ora guardiamo fiduciosi al nuovo campo di lavoro, che si apre davanti, alla terra promessa, dove l’afflato d’amore che ci colma il cuore, troverà sfogo e pace. In questo momento, contemplando quanto lasciamo alle spalle, eleviamo un umile pensiero alla Tutta Pura, che dal Suo Trono di gloria ci guarda amorosa e ci sorride. Porgiamo a Lei il nostro amore e preghiamola di vegliare sempre sulle fortune di queste creature e farla diventare grande e bella, per la gioia di cuori sofferenti e la redenzione di anime smarrite”.
Mi piace riportare anche quello che scrive di lui Anacleto Lupo, noto giornalista dauno, sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 22 agosto 1964, in riferimento al XII Pellegrinaggio dell’UAL a Lourdes, in partenza dalla stazione di Foggia (è l’ultimo pellegrinaggio fatto insieme con l’UNITALSI): “…Treno bianco di Lourdes, treno che si chiama sofferenza, che si chiama speranza. In mezzo a questo tramenio silenzioso di immagini, c’è un uomo che va su e giù per i marciapiedi: va su una sedia a rotelle. E’ un paralitico, di 45 anni, dinamico però come un giovane…va sulla sedia a rotelle rapido, va qua e là lungo i vagoni, impartisce disposizioni, dà consigli; è insomma lui a dirigere la partenza. Il capostazione col dischetto in una mano e il fischietto nell’altra, lo guarda come incantato e come incantato guarda gli ammalati in barella che vengono introdotti nei vagoni… ‘Il nostro motto: soffrire e offrire ’: voce lieve, angelica che si diffonde come un sospiro nel vagone,… E, poi questo motto finale: ‘soffrire e gioire ’ ”.